martedì 12 gennaio 2016

Cinzia Spanò, attrice multiforme in scena anche sabato 23 gennaio alle 20.30 e domenica 24 gennaio alle 15.30.

La pluripremiata attrice Cinzia Spanò spazia con disinvoltura da un ruolo all’altro con la grinta e la professionalità che la contraddistingue

 



Cinzia Spanò, dopo il diploma all’Accademia dei Filodrammatici di Milano, si misura in ruoli differenti, diretta da grandi registi come Massimo Castri e Antonio Latella, Massimo Navone.
In scena ora con il ruolo brillante di una moglie tradita e che tradisce il marito in “Toccata e fuga”, caratterizza il suo personaggio con ironia e destrezza, e racconta come per un’attrice sia stimolante ma anche complesso scegliere i ruoli da interpretare: «la parte più difficile del nostro lavoro è continuare a lavorare, io prediligo alcune tipologie di personaggi e alcune corde interpretative che si adattano meglio alle mie caratteristiche, anche se mi piacciono molto anche i ruoli brillanti come quello che sto interpretando ora in “Toccata e fuga”, in cui esagero anche la caratterizzazione, mi diverto. Tuttavia preferisco interpretazioni più tormentate che mi piace studiare a fondo. Appena uscita dall’Accademia avevo già interpretato “Toccata e fuga”, oramai vent’anni fa, nel ruolo dell’amante, ora sono contenta di tornare ad interpretare un altro personaggio, poiché mi trovo bene nella Compagnia del Teatro San Babila e perché è una commedia vivace e genuina di puro intrattenimento.»



Cinzia Spanò ricorda i registi che sono  stati per lei maestri che ha incontrato dopo essersi diplomata ai Filodrammatici, e da cui ha imparato molto: «quando passi attraverso l’insegnamento di alcuni maestri, non sei più la stessa: ho imparato molto da Massimo Castri quando mi ha diretta in “Madame de Sade” di Yukio Mishima. Eravamo tutte donne e, dopo una stimolante prova a tavolino durata  18 giorni,  tantissimi nell’economia dell’allestimento di uno spettacolo,  abbiamo imparato una lettura psicanalitica che Castri riusciva  a fare per questi personaggi femminili, cesellando alcuni passaggi dell’animo femminile che per noi donne sono stati una rivelazioni. Poi il mio maestro è  stato Latella; con lui ho affrontato autori molto importanti, con lui ho imparato l’etica di stare in scena:  gli spettacoli si fanno perché nel testo è sottesa una urgenza, una necessità. Anche oggi quando scelgo uno spettacolo, penso sempre che ci deve essere un motivo profondo per cui interpretarlo, come ho fatto per esempio nel mio testo “Marilyn mon amour”, o nel mio adattamento di  “A Nome Tuo”, tratto dall’omonimo romanzo di Mauro Covacich sul poter scegliere la fine della propria vita, scritto dopo il caso di Eluana Englaro, o  ne “Il vicario” di Rolf Hochhuth sul silenzio della chiesa durante le deportazioni ebraiche. Il teatro deve fare emergere domande, adeguarsi al tempo in cui si vive, noi attori dobbiamo assumerci la responsabilità di trasmettere dei messaggi al pubblico.  Al San Babila sussiste la bella tradizione di incontrare il pubblico nel foyer alla fine dello spettacolo, è un valore aggiunto, poiché il confronto attore/spettatore diviene un efficace  modo di riflettere insieme.» Ar.C.


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