Barbara De Rossi, paladina dei diritti delle donne
Barbara De Rossi, da sempre in prima linea nella difesa dei
diritti delle donne, torna al teatro San Babila dal 30 gennaio al 4 febbraio 2018, diretta e
affiancata da Francesco Branchetti. Insieme sono protagonisti di una delicata
storia sulle fasi dell’innamoramento, Il
bacio dell’olandese Ger Thijs, testo rappresentato per la prima volta in Italia.
«L’idea è nata da Francesco Branchetti – racconta Barbara De
Rossi - che conosceva il testo perché lui è un attento osservatore di tutto ciò
che riguarda la nuova drammaturgia. Interpreto una donna più grande di me, già in
pensione, una donna che vive nella provincia dell’Olanda, che, in un bosco, incontra
uno sconosciuto. Entrambi si raccontano la loro infelicità, e, dopo l’iniziale
diffidenza, si conoscono meglio e scoprono un'intesa fra le loro anime. Lui è
un comico mancato, pieno di insicurezze, un personaggio un po’ surreale, una specie di
folletto, anche molto buffo e tenero; tra i due non scatta un'attrazione fisica, ma
una profonda intesa di anime, un'attenzione e una cura eccezionale dell’uno per l’altra che
li aiuta a trovare un linguaggio comune così da esprimersi per
quello che sono.»
Dall'amore come sentimento puro rappresentato a teatro, al dramma dell'amore che si trasforma in violenza, un problema che tocca molto la De Rossi che si dedica alla difesa
dei diritti delle donne. Infatti, oltre a lavorare da tempo con l’Associazione
Salvamamme, ha condotto in tv Amore
criminale e ora conduce Il terzo
indizio e racconta: «Da decenni le donne pagano con la vita un amore
sbagliato. Dal 1998 con Salvamamme difendo i diritti civili per aiutare le
donne; facciamo battaglie, scrivendo lettere al Consiglio dei Ministri, alla
presidenza del Consiglio dei Ministri, perché ci sia una nuova legislatura. Da
quando conduco programmi in tv su queste tematiche ho potuto arrivare a un
pubblico più ampio: la tv abbraccia tanta gente e io ho potuto sensibilizzare il
pubblico in modo più diretto. Lentamente le cose stanno cambiando,
ma ci vorranno anni di lotte e di battaglie
e ogni processo evolutivo ha bisogno di tempo, perché non è una cosa semplice educare ai sentimenti.
Dobbiamo ricominciare dalla scuola con corsi di educazione all’affettività, poiché la violenza sulle donne non ha collocazione
geografica e sociale, ma, in modo trasversale, compisce tutti, quando in famiglia
mancano certi valori. Noi facciamo incontri e convegni, ma soprattutto
raccontiamo storie, grazie al lavoro dei volontari che è straordinario. Anche io spendo il mio tempo con grande passione e impegno e con grande rispetto, seguo anche personalmente alcune donne e sento una
grande responsabilità: infatti quando devi dire a una donna “lascia la tua casa e vai in
un centro antiviolenza” diventi tu responsabile della sua decisione e della sua
sicurezza.
Bisogna fare vedere alle donne quello che rischiano e fare capire
loro quali sono i primi segnali della violenza che possono degenerare. Quando
in tv si presentano docufiction diventano uno strumento utile: usano un linguaggio
immediato, ma non sono film, sono storie vere con testimonianze, stralci degli
atti processuali. Le donne devono vedere, non basta parlare! Inoltre mostrare cosa può succedere è un modo
per non dimenticare le vittime di femminicidio, anche i familiari vogliono
ricordare e non dimenticare! Un problema sono le frasi offensive che spesso si
leggono sul web: alcune donne scrivono frasi vergognose contro persone che
soffrono o hanno sofferto, ognuno si sente in grado di giudicare, è una
vergogna! Il web rischia di diventare quel
luogo in cui ogni persona sfoga le sue frustrazioni con cattiveria, rischia
così di diventare una delle cose peggiori di questo secolo. Ascoltando tante storie drammatiche sono
diventa più dura e non ho più pazienza, tutti dobbiamo fare qualcosa per aiutare
le persone che rischiano di essere uccise, non dobbiamo permetterci invece di
giudicare! » Ar.C.
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