giovedì 25 gennaio 2018

Barbara De Rossi, paladina dei diritti delle donne

Barbara De Rossi, da sempre in prima linea nella difesa dei diritti delle donne, torna al teatro San Babila dal 30 gennaio al 4 febbraio 2018, diretta e affiancata da Francesco Branchetti. Insieme sono protagonisti di una delicata storia sulle fasi dell’innamoramento, Il bacio dell’olandese Ger Thijs, testo rappresentato per la prima volta in Italia.


«L’idea è nata da Francesco Branchetti – racconta Barbara De Rossi - che conosceva il testo perché lui è un attento osservatore di tutto ciò che riguarda la nuova drammaturgia. Interpreto una donna più grande di me, già in pensione, una donna che vive nella provincia dell’Olanda, che, in un bosco, incontra uno sconosciuto. Entrambi si raccontano la loro infelicità, e, dopo l’iniziale diffidenza, si conoscono meglio e scoprono un'intesa fra le loro anime. Lui è un comico mancato, pieno di insicurezze, un personaggio un po’ surreale, una specie di folletto, anche molto buffo e tenero;  tra i due non scatta un'attrazione fisica, ma una profonda intesa di anime, un'attenzione  e una cura eccezionale dell’uno per l’altra che li aiuta a trovare un linguaggio comune così da esprimersi per quello che sono.»


Dall'amore come sentimento puro rappresentato a teatro, al dramma dell'amore che si trasforma in violenza, un problema che tocca molto la De Rossi che si dedica alla difesa dei diritti delle donne. Infatti, oltre a lavorare da tempo con l’Associazione Salvamamme, ha condotto in tv Amore criminale e ora conduce Il terzo indizio e racconta: «Da decenni le donne pagano con la vita un amore sbagliato. Dal 1998 con Salvamamme difendo i diritti civili per aiutare le donne; facciamo battaglie, scrivendo lettere al Consiglio dei Ministri, alla presidenza del Consiglio dei Ministri, perché ci sia una nuova legislatura. Da quando conduco programmi in tv su queste tematiche ho potuto arrivare a un pubblico più ampio: la tv abbraccia tanta gente e io ho potuto sensibilizzare il pubblico in modo più diretto. Lentamente le cose stanno cambiando, ma  ci vorranno anni di lotte e di battaglie e ogni processo evolutivo ha bisogno di tempo, perché  non è una cosa semplice educare ai sentimenti. Dobbiamo ricominciare dalla scuola con corsi di educazione all’affettività,  poiché la violenza sulle donne non ha collocazione geografica e sociale, ma, in modo trasversale, compisce tutti, quando in famiglia mancano certi valori. Noi facciamo incontri e convegni, ma soprattutto raccontiamo storie, grazie al lavoro dei volontari che è straordinario.  Anche io spendo il mio tempo con grande passione e impegno e con grande rispetto, seguo anche personalmente alcune donne e sento una grande responsabilità: infatti quando devi dire a una donna “lascia la tua casa e vai in un centro antiviolenza” diventi tu responsabile della sua decisione e della sua sicurezza. 

Bisogna fare vedere alle donne quello che rischiano e fare capire loro quali sono i primi segnali della violenza che possono degenerare. Quando in tv si presentano docufiction diventano uno strumento utile: usano un linguaggio immediato, ma non sono film,  sono storie vere con testimonianze, stralci degli atti processuali. Le donne devono vedere, non basta parlare! Inoltre mostrare cosa può succedere è un modo per non dimenticare le vittime di femminicidio, anche i familiari vogliono ricordare e non dimenticare! Un problema sono le frasi offensive che spesso si leggono sul web: alcune donne scrivono frasi vergognose contro persone che soffrono o hanno sofferto, ognuno si sente in grado di giudicare, è una vergogna!  Il web rischia di diventare quel luogo in cui ogni persona sfoga le sue frustrazioni con cattiveria, rischia così di diventare una delle cose peggiori di questo secolo.  Ascoltando tante storie drammatiche sono diventa più dura e non ho più pazienza, tutti dobbiamo fare qualcosa per aiutare le persone che rischiano di essere uccise, non dobbiamo permetterci invece di giudicare! » Ar.C.


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