venerdì 16 marzo 2018

"Michia Signor Tenente" di Antonio Grosso al San Babila


Dopo dieci anni di repliche di successo arriva la teatro San Babila, dal 20 marzo, Minchia Signor Tenente di Antonio Grosso, diretto da Nicola Pistoia. Ispirandosi alla celebre e omonima canzone di Giorgio Faletti, dedicata alla scorta di Falcone e Borsellino, Antonio Grosso tratta, sotto forma di commedia, il drammatico tema dei delitti di mafia, visti attraverso lo sguardo di cinque carabinieri di un paese della Sicilia. In scena con Grosso, Gaspare Di Stefano Alessandra Falanga Francesco Nannarelli, Antonello Pascale Francesco Stella Ariele Vincenti e Natale Russo.

 «Un po’ di anni fa, quando ero ragazzo, - racconta Antonio Grosso - mi è venuta questa idea, sentendo la canzone di Faletti che mi ricordava anche alcuni fatti personali, infatti mio padre era maresciallo dell’Arma dei Carabinieri: ho voluto così rendere omaggio all’Arma e alle vittime di mafia, ma in modo divertente. Quando l’ho scritta ero un ragazzo di venticinque anni e lavoravo con alcuni attori a Roma, ma eravamo tutti giovanissimi e non pensavo che il testo avrebbe avuto così tanto successo, infatti questo è il decimo anno di repliche. Sicuramente uno dei motivi del successo deriva dal titolo che ricorda immediatamente la canzone e la sua tematica, ma anche dal fatto che siamo riusciti a far diventare questo spettacolo nazional popolare, e oggi è una impresa difficile. Per me essere sia un autore che un attore a volte aiuta perché sai esattamente come è scritto il personaggio, se pensi solo alla drammaturgia è distraente ma poi ho sentito il bisogno di confrontarmi con il regista e con Nicola Pistoia abbiamo lavorato benissimo, e mi ha guidato anche nella selezione di alcune scene.


Anche se ho trentacinque anni, spesso mi chiedono cosa penso di dire ai giovani che vogliono intraprendere il mestiere di attore o di autore, io sono un giovane che dà consigli ai giovanissimi: devono guardarsi sempre attorno e assimilare qualunque situazione li colpisca: scrivere è un mestiere frutto dell’osservazione diretta, serve a tirare fuori quello che uno ha dentro, ma l’importante è dire qualcosa, anche se uno scrive una commediaccia, non importa, serve come esercizio. Le scuole possono insegnare la struttura per scrivere un testo di teatro o una romanzo, ma tu devi imparare a metterci dentro i contenuti e ad allenarti per imparare a scrivere sempre meglio, anche osservando il mondo circostante. Una maestra di canto che conosco diceva ai suoi allievi che nessuno è stonato, ci può essere chi ha più talento e  chi meno ma bisogna impegnarsi per educare la voce a provare tonalità e modalità nuove. Anche per la scrittura bisogna educare chi scrive perché sia in grado di comporre nuovi testi. Vi aspetto quindi al San Babila per conoscere il mio modo di scrivere e di recitare.» Ar.C.


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